Il TESSELLATUM IDRUNTINO

Un tappeto costituito da una miriade di piccole tessere

Il pavimento della Basilica è un pavimento “parlante”, perché si configura come un vero e proprio libro in pietra. Definito da più parti “enciclopedia medievale per immagini”, il mosaico è un vero e proprio capolavoro di sintesi tra teologia, culto, cultura, erudizione, miti ed estetica.
È un enorme tappeto, che si dispiega per l’intera navata centrale, il presbiterio e l’abside, per oltre 52 metri di lunghezza, interessando, inoltre, i bracci del transetto, con cui forma una croce, a richiamare il motivo cristocentrico dell’intera composizione.
La distesa musiva è costituita da una miriade di piccole tessere in pietra calcarea locale (oltre 600.000), intervallate da minuscoli frammenti di pasta vitrea colorata.

Mosaico di Otranto

È la stessa opera, con le sue quattro iscrizioni in lingua latina, ad offrire di sé i riferimenti principali su autore, committenza ed epoca di esecuzione.

La prima iscrizione, leggibile all’ingresso della Cattedrale, è quasi un biglietto da visita per chi vi entra: svela il nome dell’artefice, il presbyter Pantaleone, e illumina sul committente, l’arcivescovo idruntino Gionata.

Le successive iscrizioni consacrano il 1165 come anno di completamento della straordinaria impresa musiva e fanno memoria del monarca in carica in quel tempo, il re normanno Guglielmo I.


Il mosaico fu realizzato in soli due anni, un tempo brevissimo per il completamento di un’opera così straordinaria, come evidenziato nelle stesse iscrizioni che la definiscono “insigne”.
Queste ultime non solo offrono importanti informazioni sul litostrato, ma hanno la funzione di significative cerniere che congiungono i diversi spazi, in cui si articola l’intera aula liturgica: la parte inferiore della navata, che era destinata ai peccatori e ai catecumeni; quella superiore che era riservata ai fedeli; il presbiterio che era lo spazio dedicato al clero, diaconi e lettori; l’abside, luogo privilegiato per gli officianti.

Il racconto del 'libro di pietra'

Nell’arte romanica, il pavimento di una chiesa è lo spazio dedicato alle immagini terrene. Per questo motivo, anche nel litostrato idruntino, Pantaleone raffigura animali, reali o fantastici, ispirati dai bestiari medievali, eroi ripresi dalla letteratura cavalleresca, dalla mitologia e dal ciclo dei mesi, che tanta fortuna ebbero nel Medioevo.

Non mancano, certamente, figure ed episodi biblici tratti dall’Antico Testamento, profeti, angeli e demoni. Tuttavia, sul pavimento, che per natura nasce per essere calpestato, non sono riprodotte figure religiose, quali Cristo e la Vergine.

Il pellegrino, che per la prima volta entra in Cattedrale, potrebbe provare la sensazione di disorientamento e caos, a causa delle numerose immagini e delle variegate figure che, nel loro insieme, popolano il mosaico, alternandosi e intrecciandosi tra le ramificazioni e il fitto fogliame del maestoso albero.

Il caos è, tuttavia, solo apparente. Al contrario, prepara allo stupore e alla meraviglia.

Protagonista della narrazione idruntina è l’Albero della Vita, motivo iconografico antichissimo, comune a molte culture, perché simbolo di Cristo: Via, Verità e Vita.
Ad esso fanno da corollario gli altri alberi del transetto, nella polifonica narrazione dell’universale Storia della Salvezza: un unico grande racconto in Otranto, che, attraverso l’opus insigne di Pantaleone, sintetizza l’esperienza umana dal peccato alla Grazia.
L’imponente tronco dell’Albero della Vita, che svetta altissimo lungo la navata, assolve ad un’importante funzione.

Il fusto si configura come asse mediano della navata centrale e significativa linea direttrice che conduce e accompagna il fedele dall’ingresso fino all’altare, luogo di Salvezza.
Il dinamismo della narrazione conduce dall’ingresso fino al “santuario”, ovvero, al presbiterio, luogo di Eternità della Sapienza creatrice, e all’abside, luogo di Resurrezione. Il tronco polarizza lo sguardo e l’attenzione ad Est, a quell’Oriente da cui il sole sorge ogni giorno e verso cui il pellegrino può trarre “orientamento” per il proprio cammino verso Cristo, Sole di Giustizia e di Pace.

L’Albero otrantino assolve alle medesime funzioni affidate alle corsie tipiche di altre cattedrali, quello di prendere per mano l’homo viator e accompagnarlo nel suo iter spirituale, tra moniti ed insegnamenti, a cui rimandano le raffigurazioni e scene.
L’Albero, dunque, segna il cammino dell’anima, pellegrina tra le gioie e le prove della vita, per il raggiungimento della patria celeste e della pienezza paradisiaca.