L'autore Pantaleone

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Non ci sono rimaste fonti documentarie sull’autore del litostrato idruntino, ma le quattro iscrizioni in lingua latina sul mosaico ci svelano il suo nome: Pantaleone.

La prima iscrizione leggibile all’ingresso della cattedrale restituisce due nomi: Gionata, il nome del committente, ovvero il presule che al tempo della realizzazione del mosaico reggeva l’Arcidiocesi idruntina, e Pantaleone, l’abile artefice del grande capolavoro musivo otrantino.

Ma chi era Pantalone?

Pantaleone era certamente un presbitero: così si firma nelle iscrizioni.

Si è soliti collegare il suo nome all’abbazia di San Nicola di Casole, un importante cenobio basiliano di vita religiosa e contemplativa, che sorgeva a pochi chilometri da Otranto, nella zona della Palascìa, distrutto con l’arrivo degli Ottomani nel 1480 e di cui oggi restano sono poche rovine.

Non sappiamo se Pantaleone fosse un monaco del monastero.

Tuttavia, la straordinaria cultura che si intravede in filigrana nel suo capolavoro musivo lascia ipotizzare che, con moltissima probabilità, Pantaleone conoscesse e frequentasse l’abbazia di San Nicola di Casole, che si configurava in quel tempo come un’importante Università del mondo occidentale.


La biblioteca casulana

L’abbazia disponeva di una straordinaria biblioteca, ricchissima di volumi, e di uno scriptorium dove, con la paziente opera di monaci amanuensi, si trascrivevano, si copiavano e si miniavano antichi codici pergamenacei della cultura classica latina e greca, che da Otranto transitavano numerosi.
In questo modo, la biblioteca casulana poté costantemente arricchirsi di testi provenienti da ogni dove.
Otranto, godendo di una posizione strategica nel cuore del Mediterraneo, era nel Medioevo un privilegiato porto di approdo per traffici e commerci, nonché un importante snodo tra due mondi: l’Oriente e l’Occidente.
L’abbazia di San Nicola di Casole si configurava come una specie di casa dello studente, dove si studiava filosofia, retorica, astronomia; si traducevano testi dal latino, dal greco, dall’ebraico, dall’aramaico, sacri e profani.

Assiduo frequentatore della ricca biblioteca

Il cenobio basiliano di Casole venne distrutto nel 1480. Molti suoi codici manoscritti si salvarono grazie alla figura del Cardinale Bessarione, uomo di straordinaria cultura, che, raccogliendo numerose opere, salvò un immenso patrimonio della cultura bizantina. Oggi i codici casulani sono conservati nelle migliori biblioteche d'Italia e d'Europa.
Tra essi, il Typikon casulano, un preziosissimo manoscritto miniato, consente di conoscere come si svolgesse la vita religiosa e contemplativa nell'abbazia, improntata sulla regola benedettina dell’Ora et labora, Prega e lavora. La giornata del monaco nel monastero di Casole era una giornata tutta incentrata sull’attività e la preghiera: la preghiera santificava il lavoro e il lavoro diventava preghiera.
Pantaleone, quindi, se non era un presbitero di Casole, certamente era un assiduo frequentatore della ricca biblioteca, come lascia intravedere la sua immensa cultura.

Profondo conoscitore delle Sacre Scritture

A lui il vescovo Gionata nel 1163 commissionò la realizzazione del grande tappeto musivo della nuova Cattedrale, eretta pochi anni prima nel cuore di Otranto: al mosaico sarebbe stato affidato il racconto della grande Storia della Salvezza.
Da uomo di Chiesa, Pantaleone conosceva molto bene le Sacre Scritture.
La ricchissima biblioteca di Casole gli offrì l’opportunità di leggere non solo i testi della tradizione classica latina ma anche quelli della tradizione bizantina, ovvero i frutti di due grandi civiltà unite indissolubilmente da legami senza tempo.
Indubbiamente studiò il Physiologus, un manoscritto anonimo in lingua greca di carattere enciclopedico, composto nei primi secoli dell'era cristiana probabilmente ad Alessandria d’Egitto. Il suo contenuto e le sue miniature si diffusero e furono conosciuti in tutto il Mediterraneo a partire dal V secolo d.C., grazie alle traduzioni in armeno, etiopico, siriaco e latino.
Ebbe tra le mani bestiari ed erbari medievali, vere e proprie enciclopedie in cui si attribuivano interpretazioni allegoriche e proprietà religiose ad animali, piante e pietre di vario tipo.
Come uomo del suo tempo, Pantaleone fu un profondo conoscitore di miti e leggende che, in tante versioni, circolavano numerosi al suo tempo.
Ma, soprattutto, Pantaleone conosceva molto bene la materia che fu chiamato a raccontare con il suo mosaico: la Storia della Salvezza, che è Storia umana di peccato e Storia divina di alleanza ristabilita.
Ciò che in altre chiese veniva narrato con affreschi parietali, ad Otranto venne raccontato su un pavimento, un “pavimento parlante”, chiamato a fare memoria del Cammino che accompagna e sostiene l’Uomo in un percorso di Salvezza.
Così Pantaleone compose, con 600.000 tessere di pietra dura colorata, un grande libro di pietra, definito da più parti vera e propria “enciclopedia medievale per immagini”.