Storia della Cattedrale

Nove secoli di storia

La storia della cattedrale va letta alla luce degli importanti mutamenti politici e culturali che, dal VI all’XI secolo, trasformarono Otranto da importante capoluogo di provincia bizantina a terra di confine, “latinizzata” con l’arrivo dei Normanni nell’XI secolo.

Quanto ereditato da Bisanzio (lingua, liturgia, spiritualità, scuole e istituzioni) fu investito da profondi cambiamenti, che segnarono il travaso di una civiltà e, al contempo, la nascita di una nuova.

È in questa cornice di eventi che si inserisce la decisione dell’arcivescovo del tempo di edificare in città una nuova chiesa: la cattedrale, intitolata alla Vergine Annunziata.

La nuova struttura ecclesiale sarebbe stata il segno e il simbolo tangibili, in cui Bizantini e Normanni, vinti e vincitori, avrebbero potuto incontrarsi e riconoscersi fratelli nella fede.

Le tappe della Cattedrale

La nuova fabbrica sorse sul colle Idro, sui resti di una domus romana e, probabilmente, anche di un luogo di culto. La sua costruzione fu possibile grazie al sostegno economico del duca Ruggero il Normanno e alle prestazioni volontarie e gratuite del popolo otrantino che si adoperò per l’ardito progetto contribuendo al trasporto di pietre, calce, legname e quanto necessario per l’ambiziosa impresa.

L’edificio, di forma basilicale a croce latina, fu completato in soli otto anni e, dunque, consacrato nel 1088 alla presenza degli arcivescovi di Terra d’Otranto, del duca Ruggero e del delegato pontificio, l’arcivescovo di Benevento, capitale normanna.

Pochi anni più tardi, il vescovo Gionata affidò al presbitero Pantaleone l’esecuzione di un’opera straordinaria che avrebbe dovuto ricoprire, come un grande tappeto, il pavimento della nuova chiesa: il mosaico.

Al tempo di Pantaleone la cattedrale era molto diversa da oggi. Ha superato, nella sua storia, importanti banchi di prova, quali l’ingiuria del tempo e degli uomini.

Possiamo solo provare ad immaginare come ai tempi di Pantaleone potesse apparire la chiesa completamente ricoperta di affreschi, distrutti nel 1480 dagli Ottomani che, ponendo sotto assedio la città idruntina, trasformarono l’edificio in moschea, distruggendo immagini e prospetti esterni.

Sul finire del XV secolo, l’arcivescovo Serafino da Squillace ricostruì le pareti perimetrali abbattute e fece inserire in facciata il rosone rinascimentale formato da sedici raggi riccamente ornati.

L’arcivescovo Adarzo de Santander, nel 1673, commissionò per la facciata il ricco portale barocco, con colonne sormontate da pinnacoli a forma di pigna.

Mons. Francesco Maria De Aste, sul finire del XVII secolo, trasformò integralmente l’aula liturgica, che fu arricchita di stucchi e affreschi. Sotto il suo episcopato vennero demolite le absidiole laterali ed edificate le cappelle dei Martiri idruntini e del Ss.mo Sacramento. Fu distrutta l’iconostasi, ovvero la struttura divisoria che nelle chiese del tempo separava la parte riservata ai chierici da quella destinata ai laici.

Tra i vari interventi, furono nascoste le originarie capriate lignee dipinte su cui si impostava il tetto a doppio spiovente di epoca romanica, visibile dall’esterno. Fu realizzato un pregevole controsoffitto ligneo a lacunari ottagonali di gusto moresco-arabo, risplendente di oro zecchino.

Mons. Michele Orsi, in pieno Settecento, promosse una serie di interventi, tra cui i controsoffitti del transetto, la costruzione di un importante altare marmoreo (rimosso a metà del XX secolo) e la decorazione con stucchi della facciata, rimossi nel 1912.
Risalgono al 1827 i controsoffitti lignei delle navate laterali commissionate da mons. Andrea Mansi che ricordano, nei motivi, i preziosi arazzi con cui si era soliti abbellire le pareti.
Sul finire del XX secolo l’arcivescovo Vincenzo Franco promosse il restauro dei mosaici pavimentali, sotto le cui malte di allettamento furono rinvenuti antichi mosaici risalenti ai primi secoli dell’età cristiana e quarantadue tombe (messapiche, romane, bizantine e medievali).

Fortemente rimaneggiata, a distanza di nove secoli, la cattedrale continua a regalare stupore e meraviglia con il suo tappeto musivo, con la testimonianza di fede degli ottocento Martiri, ma, soprattutto, continua ad insegnare come il dialogo tra Oriente e Occidente, tra Ebrei, Cristiani e Musulmani, orienti, ancora oggi, l’homo viator.

La Cappella dei Martiri

Nella cattedrale c’è un’altra importante presenza che si affianca al mosaico, stabilendo con esso un legame profondo: le reliquie degli ottocento otrantini che nel 1480, testimoniando la loro fede in Cristo, vennero trucidati dai turchi ottomani che giunsero da Levante, verso cui la città idruntina aveva costruito nei secoli ponti e relazioni.

Guardati con occhi cristiani, i fatti del 1480 sono il frutto maturo della secolare storia ed educazione alla fede di un popolo, che ebbe nel mosaico la sua “scuola” principale. Probabilmente senza l’uno non avremmo avuto l’altro, perché è proprio camminando sulle tessere e seguendo il percorso tracciato dall’albero della vita (simbolo di Cristo) che gli otrantini impararono a scoprire qualcosa per cui valesse la pena vivere e, se necessario, anche morire.

Il 28 luglio 1480 un’ingente flotta guidata da Acmet Pascià fu avvistata al largo del Canale d’Otranto. Gli ottomani, che presero Costantinopoli nel 1453, decretando la caduta dell’Impero romano d’Oriente, giunsero sulle coste più orientali della penisola salentina, assediarono e conquistarono Hydruntum in soli quindici giorni.

Donne e fanciulli furono resi schiavi, migliaia di abitanti furono uccisi e a ottocento uomini venne proposto di abiurare la loro fede per avere salva la vita.

Era il 14 agosto 1480, una data memorabile per Otranto.

Gli Ottocento affrontarono l’esecuzione ottomana: il primo ad essere decapitato fu un umile cimatore di panni, Antonio Pezzulla, ribattezzato in seguito “Primaldo” perché fu il primo a testimoniare con la propria vita la fede in Cristo. Esortò gli otrantini a non cedere e a scegliere di morire per Cristo, che anche per loro fu crocifisso.

Le cronache del tempo raccontano che il corpo dello stesso Primaldo restò in piedi fino alla fine dell’esecuzione capitale. Parlano anche del carnefice Berlabei  che, alla vista di tali eventi, si convertì al Cristianesimo e condannato alla terribile pena dell’impalazione, perché apostata.

La città venne liberata dopo circa un anno dallo stesso esercito aragonese. Il duca Alfonso D’Aragona provvide a raccogliere i corpi degli Ottocento, rimasti incorrotti sul colle della Minerva per un anno. Gli Ottocento furono trasferiti, congiuntamente alla pietra della decapitazione, nella basilica idruntina e, in parte, a Napoli, allora capitale del regno aragonese.

L’evento otrantino entrò immediatamente nella pietà popolare e nell’immaginario collettivo.

Antonio Primaldo e Compagni vennero beatificati nel 1771 e canonizzati in piazza San Pietro da papa Francesco il 12 maggio 2013.